Le tematiche oggetto del panel sono state individuate, così come per gli altri momenti di discussione del seminario “Conciliazioni in sede sindacale. L’attuale scenario tra recente giurisprudenza, novità normative e aspetti pratici”, in seguito ai lavori di un Gruppo di studio e di approfondimento composto da docenti universitari, avvocati, consulenti del lavoro, rappresentanti di associazioni sindacali e datoriali.
In particolare, hanno partecipato al Gruppo di lavoro, coordinato dal Prof. Enrico Gragnoli (Università di Parma), i seguenti componenti del comitato scientifico ASRI: l’Avv. Stefano Bosio (Confimi), il dott. Stefano Camassa (Centro Studi Nazionale ANCL), il dott. Giovanni Cruciani (Centro Studi Nazionale ANCL), il Prof. Giuseppe Gentile (Università di Napoli), il dott. Francesco Lombardo (Centro Studi Nazionale ANCL), il dott. Luca Malcotti (UGL), il dott. Michele Siliato (Centro Studi Nazionale ANCL).
Con particolare riferimento al tema (molto attuale) concernente la individuazione della sede e dei soggetti che compongono il Collegio di conciliazione sindacale, il punto di partenza di una proficua riflessione può rinvenirsi nel progressivo rigore della recente giurisprudenza che – nel pretendere “condizioni adeguate e consapevoli” dell’attività conciliativa, anche per ciò che concerne l’apporto consultivo del conciliatore sindacale – ha gradatamente spostato l’attenzione (e il conseguente vaglio di legittimità) dal versante tipicamente sostanziale e probatorio della procedura conciliativa ad un versante di carattere (anche) formale e di strettissima applicazione della normativa contrattuale.
Va ricordato che, a norma dell’art. 412-ter c.p.c., le conciliazioni «nelle materie di cui all’art. 409, possono essere svolte altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative». E dunque, il tema si pone, nella sua attualità e criticità, in entrambe le dimensioni poste al centro della Tavola Rotonda, e cioè sia per i “soggetti” che per la “sede” di conciliazione.
1. Partendo dal primo elemento (i “soggetti” chiamati a conciliare), la recente tendenza giurisprudenziale – che prende il via da una ormai nota pronuncia del Tribunale di Roma (8.5.2019, n. 4354) – si condensa proprio nella messa in discussione di una prassi per lungo tempo consolidata che vede svolgere (praticamente la maggior parte delle) conciliazioni sindacali con “modalità” che non tengono conto delle previsioni dei contratti collettivi di categoria (c.d. conciliazioni “informali” su cui si rinvia al II Panel), limitandosi a prevedere l’assistenza di conciliatori (i “soggetti”) individuati dalle organizzazioni sindacali cui il lavoratore ha scelto di rivolgersi, ancorché dotate di sufficienti requisiti di rappresentatività.
L’assunto avallato dalla più recente giurisprudenza di merito tenderebbe, cioè, a considerare scarsamente affidabili le conciliazioni c.d. informali, e a ritenere invece che quelle regolate in via espressa dai contratti collettivi garantiscano una effettiva (o quantomeno maggiore) assistenza delle prerogative del lavoratore in sede di disposizione dei propri diritti.
Da qui, sorge un primo punto di riflessione: anche tenendo conto di quelle che il prof. Gragnoli nella sua Relazione definisce “‘asimmetrie informative’, soprattutto perché le associazioni di rado sono presenti alla stipulazione con professionisti con adeguata preparazione giuridica” (E. Gragnoli, Le conciliazioni sindacali, in Il Consulente Milleottantuno, n. 1, 2025 (anticipazione) – SpecialeASRI, p. 14), viene da chiedersi quali garanzie di effettività delle tutele le conciliazioni sindacali, in ogni forma, sono in grado di assicurare? E poi, sempre con riferimento al “soggetto” sindacale, premesso che la disciplina codicistica non prevede un requisito di maggiore rappresentatività sindacale (requisito che, peraltro, non costituisce oggetto di verifica da parte dell’Ispettorato in occasione del deposito del verbale), è condivisibile ritenere quale requisito “sostanziale” (più che formale) che il conciliatore sia, oltre che scelto dal lavoratore, anche espressione del sindacato cui il dipendente sia iscritto (così da scongiurare la presunzione che la scelta sia stata suggerita dal datore di lavoro)?
2. Con riferimento, invece, al secondo elemento (la “sede” sindacale), una recente pronuncia di legittimità (Cass. 15.04.2024, n. 10665) ritiene “impugnabile ai sensi dell’art. 2113 cod. civ. la transazione stipulata di fronte a un collegio di conciliazione sindacale presso una sede diversa da quella di una associazione sindacale dei lavoratori o di una organizzazione di rappresentanza dei datori di lavoro”.
Si tratta di un orientamento (al momento isolato) che – smentendo il proprio indirizzo (Cass. 18.01.2024, n. 1975), secondo cui, invece, “la mancata stipulazione di una transazione presso la sede di un sindacato non rende nullo l’accordo, né lo rende impugnabile ai sensi dell’art. 2113 cod. civ., se il lavoratore non prova la mancata assistenza a suo favore” – fornisce una interpretazione pressoché letterale dell’art. 412-ter c.p.c., sollevando non pochi dubbi che riguardano tanto l’effettivo significato del dato normativo quanto l’effettiva utilità di siffatta interpretazione.
Da qui, sorge il secondo interrogativo su cui è utile una riflessione: la “sede sindacale” è quella fisica o, piuttosto, quella che vede la presenza di un conciliatore sindacale? E poi, quale rilievo può mai avere il luogo fisico di sottoscrizione dell’intesa, se vi è stata una effettiva attività di chi rappresenti il dipendente?
Si tratta di riflessioni legittime, anche considerando che – come ricordato dal prof. Gragnoli (op. cit., pag. 17 – molto frequentemente, al momento della conciliazione coincidente con la sottoscrizione del verbale, residuano aspetti alquanto marginali da definire e, quindi, soltanto in situazioni particolari può avere un effettivo significato il contesto fisico della stipulazione.
Senza trascurare il fatto che, alla più recente evoluzione giurisprudenziale si affianca, nel corso delle ultime settimane, una evoluzione anche delle relazioni sindacali e dello stesso quadro legislativo.
Nel primo caso, infatti, è degno di nota il recente Accordo territoriale del 22.10.2024, sottoscritto da Confindustria Veneto Est – Cgil, Cisl, Uil «per l’individuazione delle sedi e delle modalità per le conciliazioni delle controversie di lavoro (artt. 411 e 412-ter c.p.c.)», anche qualora queste si svolgano “da remoto”. Scopo dell’accordo è quello di «individuare le sedi e le modalità idonee alla stipulazione di conciliazioni individuali in materia di lavoro» in sede sindacale, al fine di sottrarre gli accordi conciliativi dal regime di impugnazione previsto dall’art. 2113, comma 2 c.c. (come prevede espressamente l’art. 2113, comma 4 c.c.).
Sul piano legislativo, invece, il DDL Collegato Lavoro 2024 (art. 20, comma 1) prevede che «i procedimenti di conciliazione in materia di lavoro previsti dagli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile possono svolgersi in modalità telematica e mediante collegamenti audiovisivi» rinviando ad un decreto interministeriale per la definizione di «regole tecniche per l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione» nelle conciliazioni in materia di lavoro che si svolgeranno “a distanza”).
La materia, dunque, è oggetto di incessante fibrillazione e, anche per le ragioni qui brevemente esposte, l’ASRI ha inteso organizzare un Seminario che si proponesse come momento di riflessione, mettendo a disposizione le professionalità dei diversi soggetti coinvolti per suggerire agli operatori un modello di conciliazione in sede sindacale, aderente ai principi normativi e sindacali, garantendo ai lavoratori l’effettiva assistenza e alle aziende una elevato grado di certezza gestionale scongiurando, nei limiti del possibile, la proliferazione del contenzioso.
Giuseppe Gentile
Professore di Diritto del lavoro Università di Napoli Federico II – Componente Comitato Scientifico ASRI